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giovedì 10 gennaio 2013

L'AGRICOLTURA CHE VORREI, L'ITALIA CHE VORREI
 
 
Capita a tutti noi di immaginare come vorremmo cambiare il mondo in cui viviamo, come vorremmo che diventasse la società di cui facciamo parte, a partire dagli aspetti che ci toccano maggiormente. Ed in realtà, con i nostri comportamenti quotidiani, noi abbiamo un’influenza, anche se spesso impercettibile, su tutto quello che ci circonda. La cultura di un popolo, i rapporti sociali, i valori condivisi, sono sempre il frutto di una infinità di comportamenti individuali.

A me è capitato, facendo parte del governo di Mario Monti come Ministro delle politiche agricole, di poter incidere in modo maggiore, di poter dare un contributo più ampio all’evoluzione del nostro Paese. Questo è avvenuto in un periodo critico della nostra storia, per certi aspetti drammatico, che ha costretto il governo a fare, insieme al parlamento, scelte difficili e dolorose.

Da parte mia ho cercato di contribuire a queste decisioni con assoluta onestà di pensiero e, naturalmente, ho dedicato in particolare il mio lavoro ai problemi dell’agricoltura, alla filiera alimentare, ai temi forestali e al settore della pesca. Ho realizzato alcuni obiettivi, credo importanti, come ad esempio la regolamentazione dei rapporti commerciali nella filiera o la revisione degli incentivi per le energie rinnovabili in agricoltura. Di altri ho avviato positivamente il percorso, come il disegno di legge per arrestare la cementificazione delle nostre campagne. Se ne avete interesse, potrete trovare sul sito del Ministero un elenco dettagliato del lavoro svolto in questo anno. Mi rendo conto, però, che ciò che sono riuscito a portare a termine è solo una piccola parte di quello che avrei voluto realizzare. Per questa ragione ho ritenuto utile raccontarvi ciò che io penso debba essere fatto per il nostro Paese: l’Italia che vorrei, l’agricoltura che vorrei.

L’agricoltura e il cibo saranno al centro della politica planetaria nei prossimi decenni, perché la produzione alimentare mondiale non aumenta con lo stesso ritmo della crescita demografica e della domanda proveniente da nuove nazioni industrializzate. Il cibo e l’acqua saranno beni sempre più contesi e anche per i Paesi ricchi dell’Occidente sarà più oneroso approvvigionarsi. L’Italia si affaccia a questo scenario largamente impreparata. Per diversi decenni il pensiero dominante nel nostro Paese ha considerato l’agricoltura un settore residuale, nella convinzione che fosse molto più importante crescere attraverso nuovi e vecchi modelli industriali, come l’edilizia o la chimica.

Ancora oggi molti dimenticano che la filiera agroalimentare realizza circa il 15% del Pil italiano, con ricadute positive sull’ambiente, l’occupazione e la qualità della nostra vita. Nel frattempo le nostre imprese agricole e alimentari hanno potuto contare solo su stesse. I nostri agricoltori hanno scelto la qualità e l’innovazione per superare i limiti delle ridotte dimensioni aziendali. Hanno saputo essere eccellenti produttori, ma questo oggi rischia di non essere più sufficiente, perché il mercato non riconosce appieno il loro lavoro e i margini di redditività sono scesi a livelli di guardia.
Anche la nostra industria alimentare vive una sua contraddizione, fra un crescente successo internazionale e un equilibrio reso precario dall’assenza di una politica di settore. Il risultato è un sistema agroalimentare incredibilmente vitale, ma anche assai fragile. Dobbiamo dare risposte alle nostre imprese, dobbiamo avere una politica nazionale per il settore agricolo e per l’industria alimentare! Non basta difendere le nostre posizioni a Bruxelles (anche se qualcuno in passato non ha fatto nemmeno questo).
Ma i problemi dell’agricoltura non possono essere isolati dallo scenario di crisi che il Paese attraversa. L’Italia ha bisogno di profonde riforme per tornare a crescere, e può farlo seguendo le linee dell’Agenda Monti.



Mario Catania

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