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sabato 29 settembre 2012

MOZZARELLE E BOLLICINE AL FESTIVAL FRANCIACORTA
 
In occasione della prossima edizione del Festival Franciacorta (29-30 settembre 2012) nell’Azienda Agricola Fratelli Berlucchi si celebrerà un matrimonio unico: quello tra l’eccellenza del Franciacorta e il top della gastronomia campana, a partire dalla mozzarella di bufala campana Dop.
Frutto di un amore a prima vista tra Fratelli Berlucchi e le Strade della Mozzarella di Paestum, questo connubio si è concretizzato in un progetto che dura ormai da due anni e che ha dimostrato che i prodotti rappresentativi di due terre così diverse e lontane possono creare una serie di abbinamenti inediti quanto affascinanti, tutti da scoprire.
Sabato 29 settembre alle 19 si ripeterà la magia di quest’incontro tra Franciacorta e Campania. Tre isole allestite sotto i volti affrescati del ‘500 dove degustare la Mozzarella di Bufala Campana Dop. Ospite d’eccezione, rappresentante dell’eccellenza della gastronomia campana, sarà Pasquale Torrente, chef pluripremiato, patron de Al Convento di Cetara e della nuova friggitoria romana presso Eataly, illuminato portabandiera della tradizione culinaria cetarese e strenuo sostenitore del valore della materia prima di qualità.
Torrente per l’occasione interpreterà a modo suo alcuni classici della tradizione culinaria della sua terra. Prodotti e pietanze il cui gusto verrà scoperto ed esaltato grazie all’abbinamento con la selezione più prestigiosa dell’Azienda Agricola Fratelli Berlucchi: i Franciacorta Riserva 2005 Casa delle Colonne in versione Brut e Zero - l’ultimo nato ed in commercio a partire proprio da settembre 2012 – insieme al Casa delle Colonne Rosso Riserva 2000. Etichette speciali, selezioni uniche, scelte per emozionare chi, durante il Festival Franciacorta, vorrà scoprire in cantina il cuore di Fratelli Berlucchi.

mercoledì 26 settembre 2012

Irresistibile mozzarella

Si allunga la lista di personaggi che dichiarano il loro amore per la mozzarella di bufala campana Dop. L'ultimo, ma solo in ordine di tempo, è il bomber del Napoli Goran Pandev. In un'intervista al Corriere del Mezzogiorno il campione, rispondendo alla domanda: "Le piace mangiare?" ha dichiarato "Beh, sì. E qui a Napoli è difficile resistere ai piaceri della tavola. Poi c’è la mozzarella: se potessi la mangerei tutti i giorni".
Prima di Pandev, sul lago di Bracciano lo scorso 16 settembre, nell'ambito del Trevignano FilmFest, anche l'attrice Maria Grazia Cucinotta e l'attore Alessandro Benvenuti hanno testimoniato  il loro apprezzamento per la mozzarella di bufala campana Dop, sempre più cibo delle star.

 

Festival Ethnos XVIII
 
 
Anche quest’anno ritorna l’appuntamento dedicato alla musica nata dalle tradizioni delle nostre terre. Il Festival Ethnos giunge alla sua XVIII edizione proponendo un ideale ponte tra il Salento, Napoli e il mondo intero con l’esibizione di realtà musicali che mirano all’integrazione tra culture diverse come valore da trasmettere grazie alla propria arte. A celebrare la penultima serata del festival Liu Fang (Cina/ Canada). Una delle più acclamate interpreti della musica cinese, sia tradizionale che contemporanea, Liu Fang incanta il pubblico con il suono dei suoi strumenti: il "pipa", il liuto cinese a quattro corde, e il "guzheng", la cetra a ventuno corde

martedì 25 settembre 2012

Perchè non usare le nostre nocciole nell'accostamento con la mozzarella?
 
Nocciola di Giffoni IGP
 
 
 
L’Indicazione geografica protetta “Nocciola di Giffoni” si riferisce ad una delle varietà italiane più pregiate in assoluto: la Tonda di Giffoni.
 Le caratteristiche distintive della “Nocciola di Giffoni” IGP sono rappresentate: dalla forma perfettamente rotondeggiante del seme (che è la nocciola sgusciata), che ha polpa bianca, consistente, dal sapore aromatico, e dal perisperma (la pellicola interna) sottile e facilmente staccabile. E’ inoltre particolarmente idonea alla tostatura, alla pelatura e alla calibratura, anche per la pezzatura media e omogenea del frutto. Per queste sue caratteristiche pregiate essa è particolarmente adatta alla trasformazione industriale ed è pertanto fortemente richiesta dalle industrie per la produzione di pasta e granella, nonché, come materia prima, per la preparazione di specialità dolciarie di grande consumo. Nell’area di origine è utilizzata anche come ingrediente nella preparazione di una variegata gamma di prelibatezze, tra le quali: dolcetti, torte, gelati, creme, ma anche insoliti primi piatti e finanche liquori alla nocciola.
Ma la “Nocciola di Giffoni” IGP si presta particolarmente, proprio per la forma e la qualità del frutto, al consumo diretto, sia in guscio che soprattutto come snack denocciolato intero, ed è questa forma di consumo che ha stimolato un nuovo rinnovato interesse verso tale prodotto. Al naturale o ricoperta di cioccolato, nel miele o nel torrone, la “Nocciola di Giffoni” IGP sta guadagnando, anche all’estero, il favore dei consumatori.
 Essendo una cultivar medio-precoce, la raccolta dei frutti inizia solitamente già dalla terza decade di agosto, dopo di che, le nocciole vengono essiccate per portarle ad un’umidità del 5-7% e infine si depositano in luoghi freschi e ventilati, privi di odori e umidità.
 Il valore altamente nutritivo della “Nocciola di Giffoni” fa sì che il suo consumo protegge dall’arterosclerosi e dalle malattie cardiovascolari, grazie ad una concentrazione di sostanze grasse monoinsaturi, come l’acido oleico, che hanno la funzione di limitare fortemente i livelli di colesterolo nel circolo sanguigno. Essa inoltre è ricca di vitamine E, B, C, nonché di minerali quali il ferro, il rame, lo zinco, il fosforo, il sodio, il magnesio e il selenio, fondamentali per un corretto funzionamento del sistema cellulare.
La coltivazione del nocciolo in Campania è antichissima. Numerose testimonianze si rinvengono nella letteratura latina, già a partire dal III secolo avanti Cristo, e da reperti archeologici, quali ad esempio alcuni resti carbonizzati di nocciole, esposti al Museo Nazionale di Napoli. La diffusione di questa coltura nel resto d’Italia sembra essere iniziata proprio a partire dalla Campania, tanto che già nel secolo XVII il commercio delle nocciole, in particolare verso altre nazioni, aveva una sua rilevanza economica.
Le prime testimonianze della coltivazione della “Nocciola di Giffoni” IGP, prodotto tipicamente salernitano, risalgono al Medioevo, ma è solo attraverso rapporti commerciali con il resto d’Italia e con l’estero, nell’epoca borbonica, che si venne a conoscere il valore distintivo della qualità di tale prodotto.
 Successivamente, nel Novecento, esso ha registrato un’espansione colturale proprio in relazione alla forte richiesta da parte dell’industria dolciaria. Il territorio dei Picentini e della valle dell’Irno, d’altra parte, è vocato naturalmente alla coltivazione del nocciolo in quanto questa pianta è presente da sempre nella zona allo stato spontaneo. Il terreno di origine vulcanica offre, peraltro, le migliori condizioni di fertilità, e in generale le proprietà qualitative della Tonda di Giffoni sono riconducibili proprio al fortunato mixer di fattori ambientali, naturali e umani tipici della zona di produzione.
L’area di produzione della “Nocciola di Giffoni” IGP è concentrata nel salernitano, soprattutto nella valle dell'Irno e nella zona dei Monti Picentini dove sono ubicati i 12 comuni interessati che sono: Acerno, Baronissi, Calvanico, Castiglione del Genovesi, Fisciano, Giffoni Sei Casali, Giffoni Valle Piana, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella, Olevano sul Tusciano, S. Cipriano Picentino, S. Mango Piemonte.
Nocciole del Piemonte: un'eccellenza del territorio che a Salerno 'insaporisce' perfino le mozzarelle


Siamo abituati a mangiarla da sola, nell'impasto delle torte e soprattutto ricoperta di cioccolato. La nocciola del Piemonte si può però abbinare un po' a tutto. Deve forse essere partito da questo presupposto lo chef di Agropoli Raffaele Sergio Figliola, dopo tre anni di sperimentazione pronto a lanciare sul mercato la Mozzarella al sapore 'nocciola del Piemonte'. Forse un po' difficile da digerire come idea, ma magari piacevolmente gustosa al palato, l'originale ricetta dello chef salernitano dimostra il potenziale di questo prodotto su cui da tempo stanno puntando anche alcuni corilicoltori della provincia.
XXXIV edizione della sagra dei funghi di Cusano Mutri
 
 
 
Fino al 7 ottobre a Cusano Mutri torna la gustosa Sagra dei Funghi. La Sagra offre la possibilita' di degustare i sapori antunnali della terra titernina presso gli stand e nei ristoranti della zona. Piatti tipici con alimenti del sottobosco faranno da cornice a carni, formaggi e salumi.Naturalmente non mancherà lo spettacolo e il divertimento.

lunedì 24 settembre 2012

Mangiare italiano è totalmente sicuro.

Dai controlli emergono percentuali di regolarità altissime

 
 
La frutta, la verdura, il miele, le carni, il latte, i formaggi italiani sono totalmente sicuri. Lo sottolinea Confagricoltura analizzando i dati del ministero della Salute della “Relazione annuale al Piano Nazionale Integrato 2011”, sui controlli sulla sicurezza alimentare.

La Relazione – spiega l’Organizzazione degli imprenditori agricoli - raccoglie i risultati dei controlli svolti dalle varie Amministrazioni coinvolte nelle attività del ‘Piano nazionale’, in particolare quelli relativi ad alimentazione umana, mangimi, sanità e benessere animale, sanità delle piante, sottoprodotti, zoonosi nell'uomo e nell’ambiente.

Ben il 99,7% dei campioni di ortofrutticoli, ed il 99,8% dei prodotti di origine animale sottoposti a controllo sono risultati in regola. Le stesse percentuali di regolarità si sono riscontrate in settori particolari quali i cereali, gli oli, il vino, gli alimenti per l’infanzia.

“I dati – osserva Confagricoltura - sono significativi perché i controlli sono numerosi, superiori a quelli di altri settori, e riguardano un’azienda agricola su tre”.

“La percentuale di irregolarità negli ortofrutticoli ha subito una progressiva diminuzione passando dal 5,6% del 1993 al 0,3% del 2011, a dimostrazione – conclude Confagricoltura – dell’impegno costante degli agricoltori nel garantire la sicurezza alimentare, innovando ed aggiornando le tecniche produttive e utilizzando con estrema accortezza agrofarmaci e medicinali animali”.
ITINERARI

Tra vino e oro bianco

Riserva naturale Lago Falciano



La Riserva Naturale Lago di Falciano si trova nel comune di Falciano del Massico e di Mondragone e comprende la zona umida del Lago di Falciano.
Il lago di Falciano è di origine vulcanica ed è posto alle pendici del Monte Massico.
L'attuale assetto idrografico del bacino risale alle bonifiche iniziate dal governo Borbonico nel 1839. Ulteriori lavori di bonifica risalgono al secondo dopoguerra.
Nel 1970 il Consorzio di Bonifica al fine di garantire un maggiore ricambio idrico al lago, effettuò una serie di lavori tra cui il dragaggio del lago, per liberare le sorgenti naturali dai depositi sabbiosi, e i dirottamento di due canali nel lago. Questi lavori si rivelarono purtroppo deleteri per l'ecosistema del lago.[1]Le forti ricariche di materiale sabbioso sulle sponde, ma soprattutto l'eutrofizzazione del lago causata dall'inquinamento idrico dei due immissari hanno alterato l'equilibrio ecologico del lago impoverendo l'acqua di ossigeno e riducendo la biodiversità.
Per porre rimedio a questi danni, nel 1988 vengono realizzati degli studi per alleggerire il lago dall'eccessivo carico idraulico. Agli inizi degli anni '90 iniziano i lavori: l'amministrazione comunale di Falciano del Massico costruisce il depuratore delle acque del Canale Lago e successivamente la Regione Campania realizza una vasca di colma al fine di salvaguardare le sorgenti poste sul fondale lacustre dal dall'interramento.
Visto il patrimonio faunistico, floreale ed archeologico dell'area, nel 1993 la Regione Campania istituisce la Riserva Naturale Lago di Falciano.
Il recupero del lago viene realizzato con il ripristino sostanziale dell'assetto idrografico precedente ai lavori degli anni '70.
Il lago ospita un ricco ecosistema ed è caratterizzato da una folta vegetazione costituita prevalentemente da cannuccia di palude, tifa, coltellaccio e falasco.
Attorno al lago sono presenti boschetti di salice bianco, ontano nero e pioppo.
Nella zona sono state censite 88 specie di volatili tra stanziali, migratori e svernanti.
ITINERARI

Tra vino e oro bianco

Falciano del Massico

Il centro abitato di Falciano del Massico sorge su una zona pedemontana, alle cui spalle si erge il Monte Massico. Nella pianura si localizza il lago di Falciano, noto in passato come lago di Carinola.
La presenza umana nel territorio può essere fatta risalire al Paleolitico medio (75.000-35.000 anni fa), al quale datano i reperti trovati nelle campagne che circondano il centro abitato di Falciano. L'area dell'Ager Falernus, racchiusa dal monte Massico (a nord,nord-ovest)e dal fiume Savone,(a sud-ovest)e dalle pendici del vulcano di Roccamonfina (a est) fu poi abitata dagli Ausoni-Aurunci, sino alla conquista romana avvenuta nel IV secolo a.C. La romanizzazione del territorio si accompagnò alla realizzazione della via Appia e della viabilità minore, a carattere locale, della quale restano ampie tracce. Diverse furono le villae di età romana edificate sulle colline prospicienti l'attuale centro abitato. Per lo più si trattava dei nuclei attorno ai quali si organizzavano le attività agricole di un territorio particolarmente fertile, che in età antica era noto principalmente per la produzione del vino Falerno, decantato da Virgilio, Orazio, Catullo, Cicerone e Marziale, ed esportato in tutto il Mediterraneo.
Le prime attestazioni del toponimo Fauciano risalgono al IX secolo e solo nel XVII si stabilizzò la forma Falciano, sebbene Fauciano sia usato siano ad oggi nel dialetto locale. Nella carta IGM del 1956 la frazione di Falciano di Carinola era riportata con il doppio appellativo di Falciano Capo e Selice, in riferimento a due distinti nuclei abitati.
Il catasto onciario del 1753 attesta la vocazione agricola del territorio, dato che la metà dei 120 fuochi censiti a Falciano vedeva il capofamiglia registrato come "bracciale". La tipica tipologia edilizia prevedeva abitazioni a piano terra con un cortile interno. A partire dal XVII secolo nell'agro di Falciano iniziarono a trovare diffusione le masserie, grandi edifici rurali sostanzialmente autosufficienti, sorti a volte su ruderi di età romana.
ITINERARI

Tra vino e oro bianco

Il Castagnaccio

Ingredienti:1250 kg di castagne secche
150 g. di zucchero
100 g. di burro
200 g. di cioccolato fondente
150 g. di cedro
5 foglie di alloro
un pizzico di sale
Preparazione:
Con un coltello praticate una piccola incisione sulle castagne, mettetele in una casseruola insieme a qualche fogliolina di alloro, copritele d'acqua, salate leggermente e lessatele per circa 15 minuti. sollevatele e sbucciatele eliminando solo la crosta esterna. Rimettetele nella stessa acqua e continuare la cottura per altri 30 minuti.




Toglietele dal fuoco ed eliminate anche la pellicina interna, passatele e lasciate ricadere la purea in una ciotola. Unite lo zucchero, il burrro, il cioccolato ridotto in scaglie e il cedre tritato e amalgamate bene. Trasferite l'impasto in un piatto di portata compattandolo con le mani in modo da formare un tronchetto. Coprite con poco cioccolato fondente fuso e completate con decorazioni.

 
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Tra vino e oro bianco

La torta di mele annurche
 
Ingredienti600 g. di mele annurche,
100 g. di farina, 60 g. di fecola di
patate, 6 uova 120 g. di zucchero,
50 g. di burro, 60 g. di mandorle
tostate, 30 g. di uvetta,
una bustina di vaniglia, limone.

 
Preparazione:Sbucciate le mele e tagliatene
una metà a tocchetti e l’altra
metà a spicchi; spruzzatele con
il succo di limone per evitare che
anneriscano. Separate gli albumi
dai tuorli e montateli a neve ben
ferma aggiungendo un pizzico di
sale e qualche goccio d’acqua,
quindi, metteteli in frigo. Intanto
sbattete energicamente i tuorli
con lo zucchero; quando il
composto sarà diventato piuttosto
denso e cremoso, unite il burro
ammorbidito a temperatura
ambiente e la farina setacciata
con la vaniglia. Aggiungete
le mele tagliate a tocchetti,
le mandorle tostate e l’uvetta
ammollata in poca acqua tiepida.
Amalgamate il tutto e, infine,
unite gli albumi montati a neve.
Passate il composto in una teglia
da forno imburrata e infarinata.
Cospargete la superficie con
le fettine rimanenti di mele
e mettete in forno preriscaldato
a 180° per 40-45 minuti.
Sfornate e lasciate raffreddare,
quindi, cospargete di zucchero
a velo e servite decorando con
foglioline di menta fresca.

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Tra vino e oro bianco

La Mela Annurca

 
La mela Annurca, o melannurca, è un prodotto ortofrutticolo italiano a Indicazione Geografica Protetta, tipico della Campania, che, al momento del consumo, si presenta di colore uniformemente rosso. È definita la “regina delle mele” ed è l’unica mela originaria dell'Italia meridionale.
Dopo la raccolta, la mela Annurca necessita di un periodo di "arrossamento", durante il quale viene posta su graticci di paglia ("melai") nei quali i frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata.
Il nome Annurca è comunemente considerato derivare da Mala Orcula in quanto prodotta intorno all'Orco ovvero al Lago d'Averno, nell'area di Pozzuoli[senza fonte]. Nel tempo la mela sarebbe stata detta prima “anorcola” e poi “annorcola”. La prima testimonianza scritta del nome "Annurca" risale solo al 1876 nel "Manuale di Arboricoltura" di Giuseppe Antonio Pasquale.  Tuttavia, pare molto più verosimile la derivazione dal latino "indulcare"[senza fonte] che farebbe riferimento alla suddetta tipica modalità di maturazione.
Due sono le cultivar descritte nel disciplinare di produzione: annurca e annurca rossa del sud.
La raccolta dei frutti inizia mediamente intorno alla metà di settembre, quando i frutti maturi iniziano a cadere. Dopo la raccolta, i frutti devono terminare la maturazione esposti al sole per 10-15 giorni, durante i quali sono posti su paglia e girati a mano frequentemente.
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Tra vino e oro bianco

Parco Regionale di Roccamonfina e Foce Garigliano

 


Tra boschi secolari di castagni e deliziosi borghi medievali, ci si perde in un’oasi di tranquillità, scoprendo, poco a poco, scenari indimenticabili e sospesi nel tempo. Lungo sentieri e piccoli borghi, si possono ammirare straordinarie testimonianze storiche, che raccontano di un passato fatto di fede e d’ingegno architettonico.
Assaporando i prodotti locali, si gustano le celebri castagne e le tante varietà di funghi da gourmet, si vivono tradizioni gastronomiche uniche nella loro semplicità, si trovano tavole imbandite a festa arricchite da oli che hanno il profumo dei boschi e ci si rinfranca, dopo lunghe passeggiate, sorseggiando vini dai sapori fruttati e dai gusti decisi. Nei paesini si partecipa a feste e sagre, che animano lo spirito di persone semplici rievocando antichi folklori e tradizioni popolari. Il Parco Regionale Roccamonfina - Foce Garigliano è una terra di grande ospitalità e di storia, che offre ai suoi visitatori una natura rigogliosa ed incontaminata, che si rispecchia nei visi della gente e nei luoghi ricchi di arte, archeologia e tradizioni.
Il Parco Regionale Roccamonfina - Foce Garigliano, situato nel cuore della Regione Campania, si estende per circa 9.000 ettari, tra i  territori del basso Lazio, del Molise e dell’area urbana di Caserta. Comprende i comuni di Sessa Aurunca, Teano e cinque centri della Comunità Montana “Monte Santa Croce”: Roccamonfina, Galluccio, Conca della Campania, Marzano Appio e Tora e Piccilli.
Il Parco è sovrastato, come per proteggerlo, dall’apparato vulcanico del Roccamonfina, più antico del Vesuvio, di cui ricorda forma e maestosità, costituito da una cerchia craterica esterna larga mediamente 6 km, definita nei punti più alti dal Monte S. Croce (1005 m.) e dal Monte Làttani (810 m) e da alcuni coni vulcanici con profilo a cupola semisferica, quali Monte Atano (Casi- Teano), Colle Friello (Conca della Campania), Monte Ofelio (Sessa Aurunca).
Rocce dalle forme curiose e uniche ricordano la passata attività vulcanica dell’area, oggi ricoperta da coltivazioni di castagni, uliveti e vigneti. Lo sviluppo rigoglioso del castagno è stato favorito, nel tempo, dalla composizione mineralogica dei suoli lavici del Roccamonfina, ottimale per le esigenze nutrizionali di questa specie. Nei castagneti è possibile ammirare le splendide fioriture primaverili di crochi, ranuncoli, primule, orchidee, anemoni e viole. Di grande suggestione le molteplici varietà di orchidee che attirano ogni anno numerosi studiosi e appassionati. La natura prende vita là dove prima dominava il fuoco. E’ strabiliante come sia ricco e folto il sottobosco anche nel periodo autunnale, quando è popolato da numerose specie di funghi, tra cui l’ovolo buono ed il porcino, di grande pregio commerciale e gastronomico.
Fiori, piante ed animali sono i veri guardiani di questi luoghi. La ricca avifauna di montagna comprende esemplari quali il cuculo, il picchio, la civetta, l’allocco ed il gufo comune, mentre nella parte collinare troviamo il merlo e il corvo. Il Parco ospita esemplari rarissimi e di grande interesse, come l’airone rosso e i più comuni gufi di palude, falchi pescatori e cicogne bianche. Testimonianza della funzionalità dell’ecosistema dell’intera area e del suo stato di salute è la presenza  di una fauna ornitica, che comprende numerose popolazioni nidificanti di poiana e gheppio, predatori ai vertici delle reti alimentari.
I boschi del vulcano di Roccamonfina costituiscono un rifugio ideale per gli animali: qui, infatti, la volpe, il cinghiale, il tasso, la faina, la lepre e molteplici altre specie di piccoli mammiferi vivono isolati e al sicuro. Lontano dall’uomo, ovunque domina la tranquillità e soprattutto la natura.
Camminando lungo i sentieri, gli unici suoni che si sentono sono il cinguettare dei tanti uccelli, il vento che smuove le fronde degli alberi e lo scrosciare in lontananza di acqua fresca e veloce che scende dalle sorgenti. L’intero territorio è ricco d’acqua, che ne ha plasmato la morfologia. Il Fiume Garigliano, ad esempio, attraversa il Parco, e scava il suo letto tra i terreni vulcanici del Roccamonfina ed i terreni calcarei dei Monti Aurunci.
Nasce dalla confluenza del Fiume Liri con il Fiume Gari o Rapido, ha acque profonde e corrente veloce. Il suo serpeggiante percorso è addolcito dalla presenza di robusti pioppi e salici sugli argini. Percorrendo le sponde, comprese nel perimetro del Parco, si giunge facilmente sino alla foce, nei pressi della pineta di Baia Domizia Nord.
Oltre al Garigliano, i due corsi d´acqua più importanti del territorio sono il Fiume Savone ed il Fiume Peccia.
Ad amplificare la bellezza di questi luoghi, lungo il corso dei fiumi, concorrono ruderi d’antichi mulini e frantoi che, dallo scorrere veloce ed inarrestabile dell’acqua, traevano l’energia per azionare le pesanti macine di pietra lavica. Tracce d’archeologia industriale sono visibili, poi, nelle vicinanze delle sponde del Savone, con i resti delle “ferriere”, piccole fabbriche che hanno lavorato il ferro sino all’epoca borbonica, testimoniando come l’acqua abbia da sempre contribuito alla vita delle popolazioni del Parco.
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Tra vino e oro bianco

Vulcano di Roccamonfina

Il Vulcano di Roccamonfina è un vulcano estinto . E 'stato attivo da circa 650.000 a 50.000 anni fa. Si compone di un cono isolato grande di circa 25 km (16 miglia) tra il perimetro Monti Aurunci , la pianura e la valle del Garigliano, il Monte Massico e il Trebulani Monti . La caldera centrale ha un diametro di circa 6 km (4 km). L'attività vulcanica è ora sostituito da piccoli movimenti sismici e dalla presenza di acque minerali . Il monte fa parte del Roccamonfina-Garigliano Bocca Parco Regionale, creato nel 1999.
Il vulcano è nato come un stratovulcano nel Garigliano  Rift Valley , con un gruppo di bocche eruttive diffuse in 1000 km 2 zona (386 km ²), poi una attività effusiva concentrata nella zona centrale, formando un cono vulcanico circa 1.800 m di altezza , per lo più formata da tephra e accompagnato da coni minori, come il Monte Ofelio a sud-ovest. Circa 400.000 anni fa, il crollo del settore orientale del vulcano formato una caldera che, per qualche tempo, era occupata da un lago vulcanico .
Un secondo periodo di attività vulcanica iniziata circa 385 mila anni fa, con una eruzione esplosiva , incluse le eruzioni della caldera precedente. Questa fase è continuato fino circa 285.000 anni fa. La formazione del vulcano ha inoltre modificato il corso del Garigliano e Volturno fiumi. Quest'ultimo si trasferì a sud ovest in quello che è il suo corso attuale, il Garigliano non è più raggiunto il mare, e formò un lago (Lago di Lirino) fino a quando (circa 200.000 anni fa) ha eroso le rocce vicino Suio e ha assunto il corso attuale.
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Tra vino e oro bianco

Sessa Aurunca

 

Sessa Aurunca è una città della provincia di Caserta . E 'situato sul versante sud-ovest della estinto vulcano di Roccamonfina , 40 km in treno a ovest a nord-ovest di Caserta e 30 km a est di Formia.
Si trova sul sito dell'antica Suessa Aurunca, vicino al fiume Garigliano . La collina su cui si trova Sessa è una massa vulcanica di tufo .
Il capoluogo antico della Aurunci , si crede sia rimasto più di 600 m sopra il livello del mare, sulla stretta margine sudoccidentale del cratere spento di Roccamonfina. Il Aurunci erano un italico popolazione che viveva nel sud Italia da tutto il primo millennio aC . Di indo-europea di origine, la loro lingua apparteneva al osco gruppo. Il territorio Auruncan esteso a sud da quello del Volsci , nella zona di Roccamonfina , tra il Liri e il Volturno fiumi.I romani fonti li descrivono come una popolazione poco evoluto, che ha preferito vivere in villaggi difensivi sulle cime delle colline. Il Aurunci erano alleati con il latino colonia di Pomezia , attaccato dai Romani nel 6 ° secolo aC. i Romani li ha sottoposti solo dopo la guerre sannitiche (313 aC).


Esistono alcuni resti di mura ciclopiche, ma la zona chiusa, a circa 100 m da 50 anni, è troppo piccola per qualsiasi cosa, ma un forte distaccato. Risale più probabilmente in un tempo precedente alla supremazia romana.
Nel 337 aC la città fu abbandonata sotto la pressione dei Sidicini , a favore del sito della Sessa moderna. La nuova città mantenuto il vecchio nome fino al 313, quando una colonia latina con il nome di Suessa Aurunca è stata fondata qui. E 'stato tra i comuni che avevano il diritto di conio, e li ha fabbricati carrelli, cestini e altri. Cicerone ne parla come di un luogo di una certa importanza. Il triumviri si stabilirono alcuni dei loro veterani qui, da dove appare come Colonia Julia Felix Classica Suessa. Da iscrizioni risulta che Matidia più giovane, la sorella-in-law di Adriano , aveva proprietà nel quartiere. Non era su una strada maestra, ma su un ramo tra la Via Appia a Minturnae e la via Latina cratere menzionato.


 

La città contiene molti resti antichi, in particolare le rovine di un antico ponte in muratura di 21 archi, di sottostrutture in opus reticulatum sotto la chiesa di S. Benedetto, di un edificio in opera quadrata, che si suppone essere stato un pubblico portico , sotto il monastero di S. Giovanni, e di un anfiteatro .
La cattedrale romanica è una basilica medievale, con un portico a volta e una navata centrale e due navate laterali iniziati nel 1103, una pavimentazione a mosaico in cosmatesco stile, un ambone buon poggiante su colonne e decorata con mosaici che mostrano tracce di influenza moresca, un candelabro pasquale, e una galleria d'organo di stile simile. Il portale ha curiose sculture con scene della vita di San Pietro e San Paolo. Nelle vie principali sono lapidi con iscrizioni in onore di Carlo V , sormontati da un vecchio crocifisso con una croce mosaico. Le colline di Sessa sono celebrati per il loro vino

domenica 23 settembre 2012

ITINERARI
 
andar per crateri nei Campi Flegrei
 
Agriturismo I Tre Piccioni
 
 
 
L'Agriturismo "I TRE PICCIONI", nasce all'interno dell'omonima Azienda Agricola Biologica che vanta ben 10 anni di attività.
L'intento dell'imprenditore Paolo Fontana, è quello di far degustare tutti i suoi prodotti (frutto della coltivazione e dell'allevamento), ottenuti secondo i sani principi biologici, quindi senza nè concimi ne mangimi chimici.
Oltre ad assaporare i prodotti della tenuta, nell'azienda è possibile anche far divertire i propri bambini, sempre tenuti a vista d'occhio, o rilassarsi nello spiazzo antistante.
L'ambientazione rustica delle sale interne e quelle esterne, contribuiranno a degustare piatti tipici e sani.
Inolte si potrà visitare l'Azienda o accomodarsi nel cortile a stretto contatto con la natura, che si affaccia sul verde delle coltivazioni biologiche.
Qui è la natura che la fa da padrona, tra filari di viti, distese di pomodori, ortaggi in genere che maturano secondo la legge della nutura, senza l'aiuto della tecnologia

Orari di apertura:
Sabato: dalle 13,00 alle 14,30 e dalle 19,30 alle 22,30
Domenica: dalle 13,00 alle 15,00
Per info cell: 348.3903930
ITINERARI

anadar per crateri nei Campi Flegrei
 
Oasi degli Astroni
 
 
Il Cratere degli Astroni è un'oasi del WWF, riserva
naturale statale, che si trova tra Napoli e Pozzuoli.
Nel suo territorio ricade il cratere più grande tra i
circa venti che si trovano nella zona dei Campi
Flegrei. È sede di un importante centro di recupero
per la fauna selvatica ed è attraversato da sentieri
naturali ed osservatori per l'avifauna, attrezzati con
pannelli esplicativi per un totale di 15 km di
percorsi diversificati.
Il cratere ha un'estensione di circa 250 ettari ed un

perimetro di circa 6,5 km.
 


All'interno del cratere vi sono 3 colli (Imperatrice,
Rotondella, Pagliaroni) che ne occupano gran parte
della superficie. La zona sud-occidentale è piatta con
tre piccoli stagni (il maggiore è denominato "Lago
Grande") ricchi di specie animali e vegetali. In
passato è stato una riserva di caccia. L'eruzione
degli Astroni datata 3.700 anni, ha avuto carattere
prima esplosivo e poi effusivo generando il Colle
Rotondella.
Queste alcune delle specie di uccelli che si possono

trovare nel cratere: occhiocotto, scricciolo,
capinera, merlo, ghiandaia, picchio rosso maggiore,
picchio muratore, folaga, gallinella d'acqua, airone
cenerino, garzetta, tarabusino, pavoncella,
porciglione; tra i rapaci: poiana, gheppio.



Inoltre, si segnala la presenza della volpe e della

faina.
La vegetazione è caratterizzata dal fenomeno

dell'inversione termica a causa della morfologia, a
forma di catino, e per l'alta umidità del punto più
basso. Queste condizioni causano la diminuzione della
temperatura verso il basso. Per tale motivo la
vegetazione è di tipo macchia mediterranea sull'orlo
del cratere e di tipo foresta umida sul fondo.
 Queste alcune delle specie che si possono trovare nel

cratere: castagno, rovere, farnia, carpino, olmo,
robinie, quercia rossa, pioppo del Canadà, leccio,
erica arborea, mirto, lentisco, ligustro, giunco.
Alcune delle specie suindicate sono state introdotte
dall'uomo.


All'interno della riserva è presente un Centro di
Educazione Ambientale che svolge attività di
educazione, informazione ed aggiornamento sulle
problematiche ambientali. Il CEA interagisce in
prevalenza con la scuola, attraverso l'organizzazione
di incontri e visite guidate. Nella riserva è inoltre
attivo un centro di recupero degli animali selvatici,
con il quale i volontari possono curare gli animali
feriti rinvenuti in tutta la regione Campania.
L'attività scientifica si svolge in collaborazione con
la facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università di
Napoli

Ingresso Oasi
 Via Agnano Astroni 468
 80125 Napoli

Informazioni e prenotazioni:
 tel 081.5883720, fax 081.5881255
ITINERARI
 
andar per crateri nei Campi Flegrei
 
Il Piedirosso
 
 
 
Il Campi Flegrei Piedirosso è un vino DOC la cui
produzione è consentita nella provincia di Napoli.
Di colore rosso rubino più o meno intenso, tendente al
granato con l'invecchiamento, presenta un odore
intenso caratteristico. Il sapore è asciutto e
armonico.
Non si sclude che il piedirosso possa essere
identificato con l'uva Colombina menzionata da Plinio.
Rappresenta un antico vitigno coltivato nelle province
di Napoli, Caserta e Salerno. Il suo nome deriva dal
colore rosso, come quello del piede del colombo, che
il trancio assume poco prima del periodo della
vendemmia.
Le caratteristiche tecniche sono inconfondibili:
germoglio ad apice espanso, verde chiaro, lanugginoso,
foglioline apicali, spiegate, verde chiaro con
sfumature vinoso bronzate ai margini, un po' cotonose.
Grappolo medio grande, tozzo, tronco piramidale a
volte semi spargolo, con peduncolo rosso vivo, acino
medio, sferoide, rosso violaceo, buccia spessa e
pruinosa, con ombelico visibile, polpa succosa
carnosa, dolce di sapore speciale. Nessun rosso ha
tante possibilita' di abbinamento nella cucina
classica partenopea come il Piedirosso, a cominciare
dalle zuppe di pesce per continuare con le parmigiane
di melenzane o di zucchine.
ITINERARI
andar per crateri nei Campi Flegrei
 
La Falanghina
 
 
 
La falanghina è un vitigno autoctono di pregio dalle antiche, nobili, gloriose tradizioni: vigoroso e produttivo, derivante da ceppi greco-balcanici, venne introdotto in Campania dagli Aminei, popolo pelagico.

Attualmente, si estende su un’area pari al 5% dell’intera superficie vitata regionale: i territori maggiormente vocati alla produzione sono il Sannio Beneventano, i Campi Flegrei e il Casertano.

Insigni studiosi, quali il Frojo e il Fiorito, individuano nella falanghina l’antenato del Falernum Gauranum, famoso come vino degli imperatori, elogiato da Plinio il Vecchio, celebrato da illustri poeti, immancabile sui sontuosi deschi della magnifica corte reale di Napoli ed inserito nella prestigiosa carta dei vini papale; l’Acerbi, nel 1825, lo cita tra i “finissimi fautori di piaceri sublimi della gola”.
Il nome deriverebbe dal latino phalanx, o palo, al quale le viti erano sostenute secondo il sistema di allevamento puteolano, tuttora diffuso, tipico degli antichi campi ardenti dei greci, terra magica e leggendaria, sfondo dell’epica Gigantomachia.
 

 


Prodotto enologico seducente, esprime intatta la sua tradizione di classe nella vinificazione in purezza, servito tra gli 8 e i 10 gradi: è un eccellente vino bianco dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; all’olfatto si apre in un ricco ventaglio aromatico di delicate note floreali e fruttate dai profumi intensi e persistenti, con lieve sentore di ginestre, fiori della macchia mediterranea, banana, mela verde, pera, mandorla, sambuco e basilico; il sapore è secco, fresco, armonico, morbido, di buona acidità; il retrogusto amarognolo, ampio e piacevole, rammenta il melograno.


La falanghina, le cui uve a buccia bianca partecipano, con percentuali diverse, agli uvaggi di molti vini Doc e Igt campani, possiede un’incredibile versatilità: “Nessun vitigno riesce ad esprimere meglio l’anima del palato partenopeo”, afferma con convinzione il noto giornalista Luciano Pignataro.

Ottimo servito quale aperitivo, si accompagna egregiamente ai piatti tradizionali della cucina mediterranea: antipasti, riso e pasta con frutti di mare, crostacei, salse delicate, minestre di legumi, zuppe con funghi, pesce grigliato e fritto, carni bianche, formaggi a pasta molle, caprini giovani, mozzarella di bufala campana, pizze assortite, flans di verdure.
È stupefacente la capacità di questo vino rinomato di cambiare fisionomia senza sminuire invecchiando: il passito, superbo vino da meditazione, sposa degnamente la pasticceria secca; la versione spumante è particolarmente apprezzabile.
ITINERARI
andar per crateri nei Campi Flegrei
 
Parco archeologico di Cuma
 
 
 
Dell’antica Cuma - la prima delle colonie di
popolamento greche in Occidente, fondata ai danni
delle locali popolazioni osco-sabelliche nella seconda
metà dell’VIII secolo a.C. da Euboici-Calcidesi
precedentemente stanziatisi nell’emporion di
Pithekoussai (poi Aenaria nell’isola di Ischia) - sono
attualmente visitabili l’acropoli con i Templi di
Apollo e di Giove, il primo impianto dei quali risale
all’età greca, e il cosiddetto "Antro della Sibilla",
riferito dalla tradizione al culto oracolare di Apollo
ma sorto quasi certamente per scopi difensivi.
Le più antiche testimonianze della frequentazione del
sito in età preistorica e protostorica provengono
dalle necropoli esplorate nel corso dell'800 dallo
Stevens, i cui ricchi corredi sono stati di recente
esposti nel settore topografico del Museo Archeologico
Nazionale di Napoli.
Dell’antica Cuma - la prima delle colonie di
popolamento greche in Occidente, fondata ai danni
delle locali popolazioni osco-sabelliche nella seconda
metà dell’VIII secolo a.C. da Euboici-Calcidesi
precedentemente stanziatisi nell’emporion di
Pithekoussai (poi Aenaria nell’isola di Ischia) - sono
attualmente visitabili l’acropoli con i Templi di
Apollo e di Giove, il primo impianto dei quali risale
all’età greca, e il cosiddetto "Antro della Sibilla",
 
 
riferito dalla tradizione al culto oracolare di Apollo
ma sorto quasi certamente per scopi difensivi.
L’altra galleria, nota come Crypta Romana o "grotta di
Cocceio", con la quale si collegò in età tardo-
repubblicana il porto di Cuma col Portus Iulius sui
laghi d’Averno e di Lucrino, al fine di potenziare
militarmente la zona, è accessibile dal piazzale
situato di fronte all'Antro della Sibilla e dal quale
si imbocca la via Sacra, che conduce all'acropoli.
Visibili da quest'ultima sono anche i resti della
"città bassa", con i Templi italici del Foro ed i
grandiosi ruderi di un edificio termale detto
"Masseria del Gigante", l’anfiteatro di recente
riportato alla luce, nonché l’"Arco Felice",
impiantato sul valico che fu aperto nel monte Grillo,
confine orientale della città antica, per il passaggio
della antica via Domitiana.
I resti di un santuario isiaco, emersi nel corso di
nuove indagini archeologiche eseguite in prossimità
dell’area portuale della città, attestano la
diffusione del culto egiziano di Iside nell’area
flegrea. Lungo la costa a nord della città, presso la
collina di Torregaveta, sopravvivono, infine, i resti
della sontuosa villa marittima ivi impiantata da
Servilio Vatia nel I secolo d.C.
 
Sito Archeologico di Cuma
Via Monte di Cuma 3, località Cuma, BACOLI

Info e prenotazioni: tel. 848800288;
dall’estero e dai cellulari tel. 06 39967050
tel. 081 8040430 - fax 081 8040430

giovedì 20 settembre 2012

ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco dei Monti Lattari

Museo del Corallo
 
 
Il corallo è una formazione calcarea con quasi il novanta per cento di carbonato di calcio, materiale costituito dallo scheletro (detto coramo) di piccolissimi animali marini: polipi che vivono in nicchie contigue.
Di varie qualità e colori, assai raro è quello nero dell’Adriatico e del Mar Rosso, come quello giallo o blu del Camerun. Solo a fine Seicento venne definitivamente dichiarata la sua origine animale.
Lo scheletro del corallo, lo sclerasse, cresce in maniera arborescente. La velocità di crescita, in ogni modo molto lenta, è influenzata da numerosi parametri microambientali quali la luce e la sedimentazione. L’altezza media delle colonie è di dieci-quindici centimetri; colonie di più grandi dimensioni sono rare.

L’intensità del colore varia secondo la profondità delle aree di raccolta. Ancora oggi il corallo utilizzato nella gioielleria occidentale si pesca soprattutto lungo la sponda africana, dal Marocco alla Tunisia, lungo le coste della Sardegna occidentale e in Spagna. La maggior parte della trasformazione del grezzo avveniva ed avviene in Italia.
Delle specie attualmente impiegate, una soltanto, il Corallium nobile di Linneo o Corallium rubrum del Lamark, dalle tinte unite, senza macchie, localizzato nel Mediterraneo, fece la parte del leone lungo l’intero bacino marittimo. Il Corallium nobile, dal colore rosso e aristocratico, è indiscutibilmente più piccolo di quello proveniente dai mari estremo-orientali e viene detto “Sardegna”, a ricordare la ricchezza storica dei banchi corallini dell’Isola.

 II Museo del Corallo nasce nel 1986 da una felice intuizione di Giorgio Filocamo e dalla sua innata generosità: intuizione felice quella di voler custodire il prezioso bagaglio di oggetti antichi e di pregio tramandatogli dalla sua famiglia, che è stata la radice della sua grande vocazione di corallaro. Una famiglia dalle origini siculo-napoletane: c'è forse miscela migliore per il sangue di un corallaro?
Generosità perché il cancello del Museo del Corallo si apre a tutti: curiosi e non, scettici ed increduli, credenti o meno. Ed il trattamento è lo stesso: tanta esperienza, bellezza, e, se si è fortunati, e quasi sempre lo si è si va via con un rametto di corallo tra le mani che, come Giorgio Filocamo ripete da sempre, deve necessariamente essere Rotto, Rosso, e Regalato.
www.museodelcorallo.com/
ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco dei Monti Lattari
 
Villa Cimbrone
 
 
 
Villa Cimbrone a Ravello, comune in provincia di
Salerno, è un edificio storico costruito su un
promontorio roccioso a picco sulla Costiera amalfitana
ed in gran parte occupato da un esteso parco, ornato
di statue, antichità varie, fontane, grotte e
culminante in un belvedere che mostra, specie dalla
celebre Terrazza dell'Infinito, scenari di
incomparabile bellezza sul Golfo di Salerno e sulle
località costiere limitrofe.
Il toponimo "Cimbrone" ricorda l'antica denominazione
del promontorio roccioso Cimbronium su cui sorgevano
le rovine di una villa romana, trasformata poi in
ampio casale ed un tempo residenza prima della nobile
famiglia Acconciagioco e successivamente dei Fusco e
degli Amici. Solo nel 1904 l'intera proprietà fu
acquistata da un nobile banchiere britannico, Ernest
William Beckett, che trasformò radicalmente sia la
villa, da lungo tempo in stato di abbandono, sia il
vasto appezzamento terriero ed i giardini nello
straordinario parco con elementi architettonici
neoclassici e gotici e mediando tra il selvaggio stile
botanico all'inglese e il preciso all'italiana.

La villa è adibita ad albergo, mentre il vasto
giardino è aperto in gran parte al pubblico (tranne la
parte che si affaccia sul mare sul lato adiacente alla
villa) e visitabile a pagamento: per entrambi
l'ingresso, solo pedonale, avviene da via di Santa
Chiara 26, lunga stradina in salita che parte dal
centro storico di Ravello.
ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco dei Monti Lattari
 
Villa Rufolo
 
 
 
Villa Rufolo è un edificio del centro storico di
Ravello, comune in provincia di Salerno, che si
affaccia di fronte al Duomo nella piazza del Vescovado
ed il cui impianto iniziale risale al secolo XIII, con
ampi rimaneggiamenti ottocenteschi.
Appartenente inizialmente alla potente e ricca
famiglia dei Rufolo che eccelleva nei commerci (un
Landolfo Rufolo è stato immortalato dal Boccaccio nel
Decamerone), passò in seguito per successione ad altri
proprietari quali i Confalone, i Muscettola ed i
d'Afflitto
 

Intorno alla metà dell'Ottocento fu venduta allo
scozzese Francis Neville Reid che ne curò un restauro
generale, attribuendole l'odierna ambientazione.

Si accede alla villa grazie ad un'apertura ogivale
nella Torre d'ingresso; dopo un breve viale si giunge
ad uno slargo dominato dalla Torre Maggiore:
quest'ultima fronteggia il campanile del duomo di
Ravello e domina i terrazzamenti (superiore ed
inferiore) a strapiombo sulla Costiera amalfitana e
sul Golfo di Salerno che ospitano straordinari
giardini fioriti per gran parte dell'anno.

Tra i locali della villa, inoltre, è da menzionare un
grande cortile soprelevato simile ad un chiostro ed
alcune sale adibite a museo.

Per ricordare la visita del celebre musicista Richard
Wagner nel 1880 - che qui immaginò il giardino di
Klingsor nel secondo atto del Parsifal - ogni anno il
giardino inferiore di Villa Rufolo ospita, con
successo di pubblico, i Concerti Wagneriani.
ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco dei Monti Lattari


Ravello
 
 
Famoso centro turistico, scoperto e frequentato da
numerose personalità di ogni arte, attratte dal suo
richiamo intellettuale e dal fascino delle sue
architetture e delle sue famose ville.

L'UNESCO dal 1996 ha decretato Ravello, assieme alla

Costiera amalfitana, Patrimonio dell'umanità.
La città di Ravello si trova su di una ripida rupe

all'altitudine di 315 m slm; sovrasta Maiori e Minori
e gode di una famosa vista panoramica sul Mare Tirreno
e sul golfo di Salerno.

È situata di fronte ai Monti di Scala, con cui il

confine coincide col corso del Torrente Dragone
Ravello fu fondata nel V secolo come luogo di rifugio

dalle scorrerie dei barbari che segnarono la caduta
dell'Impero romano d'Occidente, ma per leggenda vi
immigrarono dei patrizi amalfitani in seguito a uno
scontro tra più fazioni della classe alta amalfitana,
che sfociò quasi in una guerra civile.

La cittadina crebbe in popolazione, prosperando con

l'arte della lana e con il commercio verso il
mediterraneo e Bisanzio e raggiunse il suo massimo
splendore dal IX secolo, sotto la Repubblica marinara
di Amalfi e il Principato di Salerno.
Per volere del normanno Ruggero, figlio di Roberto il

Guiscardo, Ravello divenne sede vescovile nel 1086 per
porla a contrasto della troppo potente Amalfi.

Al volgere del XII secolo la città giunse a contare

una popolazione di oltre 25.000 abitanti.

Nel 1135 riuscì a sostenere gli attacchi portati dai

Pisani al Ducato di Amalfi, ma due anni dopo, nel
1137, dovette soccombere, fu saccheggiata e distrutta.

A seguito delle devastazioni iniziò il suo declino

economico e demografico: a partire dal XIV secolo
molti dei suoi abitanti si trasferirono a Napoli e
dintorni anche se nel 1400 i patrizi ravellesi erano
ancora molto attivi: esempio ne erano i Rufolo,
banchieri del Regno di Napoli, all'epoca potentissimo
(vedi Ladislao di Durazzo, Re di Napoli); fu il
pesantissimo sistema fiscale dell'inefficiente governo
spagnolo che ne determinò la decadenza, durata sino
alla fine del XVIII secolo.

Dal XIX secolo, riscoperta da intellettuali e artisti,

riacquistò la sua importanza come luogo di turismo
culturalmente elitario.
ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco dei Monti Lattari
 
Il comune di Scala, in provincia di Salerno, arroccato
sulla parte montana della Costiera Amalfitana è
rinomato per la coltivazione di una particolare
varietà di castagno a cui dà il nome. I frutti, benché
chiamati marroni, sono più propriamente castagne,
poiché a differenza dei marroni non sono molto grandi
e sono schiacciate da un lato. La polpa è bianca e la
buccia è sottile con l'episperma poco approfondito.
Vengono utilizzati dai laboratori artigianali per
produzioni dolciarie o venduti sul mercato del fresco,
soprattutto in costiera Amalfitana e nella città di
Salerno. 
ITINERARI
 
da Scala a Ravello nel cuore del Parco Regionale dei Monti Lattari
 
LA VALLE DELLE FERRIERE E DEI MULINI        
 
 
 
Questo percorso parte da Pontone, piccola frazione di
Scala sovrastata dai ruderi della chiesa di
Sant’Eustachio (XII secolo), di cui resta in piedi
solo l’abside. Verso valle si erge solitaria e austera
la Torre dello Ziro, che domina contemporaneamente
Amalfi e Atrani. L’itinerario consente di percorrere
uno degli angoli più incontaminati e solitari del
parco. Seguendo il corso del torrente Canneto ci si
addentra in una valle stretta tra le cime del Monte
Campanaro (1.058 m), del Monte Rotondo (1.038 m), del
Monte Cervigliano (1.203 m) e del Monte Ciavano (1.036
m), nel settore sudorientale dei Lattari. Per la sua
ricchezza d’acqua, questa valle ha ospitato in passato
alcune cartiere e una ferriera. Il metallo proveniva
dall’isola d’Elba, sbarcava ad Amalfi e veniva
trasportato a dorso di mulo lungo la valle fino alla
ferriera, dove avveniva la lavorazione. L’energia era
fornita dall’acqua e il calore necessario alla fusione
era ottenuto bruciando legna, disponibile in
abbondanza.
Prima di lasciare Pontone, il sentiero attraversa i
vicoli del centro e passa sotto dei sopportici
(archetti sotto le case), dove sono in mostra oggetti
domestici d’epoca a ricordare il modo in cui si viveva
qui nell’immediato dopoguerra. In pochi metri quadrati
stanno stipati scaffali-cantina, ceste per le
provviste e per i trasporti, scarpe e abiti appesi al
muro, attrezzi da lavoro e da cucina.
L’ambiente della riserva è molto suggestivo, ricco di
cascate e arrivi laterali che creano le condizioni
ideali per il proliferare di una fauna e una flora
ricchissime. Qui si può vedere facilmente la
Woodwardia radicans, una specie endemica di felce, e
con un pizzico di fortuna ci si può imbattere in
piccoli e rari anfibi come il tritone appenninico.
Scendendo verso Amalfi il sentiero costeggia alcune
vecchie cartiere ormai abbandonate che preludono alla
visita di una cartiera restaurata al centro della
cittadina.
Descrizione dell’itinerario
Il sentiero parte dal borgo di Pontone. Da piazza San
Giovanni si dirige subito a nordovest in leggera
salita e, attraversando graziosi vicoli, prosegue in
discesa tra muri di cinta che delimitano orti e
vigneti. Di tanto in tanto una porticina socchiusa
consente di gettare lo sguardo negli agrumeti,
protetti dai caratteristici pergolati realizzati con
lunghe pertiche di castagno. Gli orti terrazzati
occupano ogni spazio strappato alla pendenza del
versante. Alla fine del tratto pavimentato ci si
immette sul sentiero CAI n. 23 (proveniente da
Chiorito, frazione di Amalfi).
L’affaccio sulla sinistra regala una magnifica vista
sulla valle e su Amalfi. Sul versante opposto, in
alto, si intravedono le case di Pogerola. Più a monte
la valle è chiusa tra alte pareti calcaree, traforate
da grotte e anfratti. Sullo stesso versante si scorge
un tubo che scende dalla montagna, nascosto dalla
vegetazione: è la condotta forzata di una vecchia
centrale elettrica. Si giunge poi a una biforcazione:
il sentiero di destra risale verso la parte alta della
valle, mentre quello a sinistra raggiunge la ferriera
dopo essere passato su un ponticello. L’edificio,
ormai ridotto a rudere, è enorme e sormonta la valle
con un ampio arco sotto il quale il torrente si getta
in una cascata.
È proprio l’acqua l’elemento predominante nella valle:
in passato veniva utilizzata per muovere i macchinari
della ferriera (e delle cartiere di Amalfi). L’acqua
veniva convogliata all’impianto mediante un canale,
ancora ben visibile, che nell’ultima parte corre su un
breve viadotto. In questo punto il sentiero svolta a
gomito e si dirige verso valle.
Passando invece sotto il ponte della condotta ci si
incammina sulla sponda sinistra del torrente, per poi
passare (dopo 5 minuti) dall’altra parte, servendosi
di un rudimentale ponte (tronco). Un breve itinerario
in salita consente di guadagnare circa 50 metri di
quota, per poi seguire un’altra condotta (quella della
centrale elettrica) fino a due chiuse che preludono
alla recinzione della Riserva Naturale Statale Valle
delle Ferriere. Qui il torrente riceve diversi
affluenti che formano cascate di diverse altezze,
nebulizzando l’acqua: l’ambiente è umido e
freschissimo anche in piena estate. All’interno della
riserva si possono osservare una bella cascata e molti
esemplari della felce endemica Woodwardia radicans.
Si fa poi ritorno per la stessa strada alla ferriera,
e da qui si imbocca il sentiero CAI n. 25 che, tutto
in discesa e sempre in ombra, conduce ad Amalfi in
circa 45 minuti. Lungo la discesa, costeggiando il
torrente che forma numerose rapide e piccole cascate,
si passa accanto ai ruderi di vecchie cartiere, che
hanno reso celebre la carta di Amalfi. Poco più avanti
il torrente si inforra e scorre circa 20 metri più in
basso rispetto al sentiero. Segue un tratto pietroso,
poi inizia la strada lastricata che, tra muretti e
agrumeti a perdita d’occhio, annuncia le porte di
Amalfi. Al centro della cittadina, oltre al duomo e al
chiostro del Paradiso, si può visitare una vecchia
cartiera recentemente restaurata.
Note
 La riserva è recintata: per accedervi è
indispensabile contattare in anticipo il Centro Visite
del Corpo Forestale dello Stato, a Pontone.
 
 Informazioni pratiche
Difficoltà: E (facile, per tutti).
Dislivello: circa 300 m.
Tempi di percorrenza: 4 ore compresa la visita alla
riserva.
Attrezzatura richiesta: scarpe da montagna, berretto,
zainetto da giornata, acqua, una giacca o una felpa
per proteggersi dall’umidità e dal fresco della
riserva.
Come arrivare
In auto: dalla statale n. 163 Amalfitana si raggiunge
il bivio per Ravello e da qui si sale fino
all’incrocio per Pontone di Scala; dal versante nord,
percorrendo la A3, si esce ad Angri e in circa 20 km
si raggiunge Pontone, passando per Sant’Egidio del
Monte Albino, Corbara, Valico di Chiunzi, Ravello.